La natura
La luce
L’opera
di Americo Salvatori

(un testo di Marco Pesatori)

Dopo il dubbio sulla cosa è la volta per noi del dubbio sulla coscienza e di conseguenza in ogni azione della vita psichica si nasconde un significato nascosto, sepolto nel mondo inconscio, cui l’Io cartesiano si oppone nonostante ne sia dominato… (Paul Ricoeur, Dell’interpretazione).

Solo a prima vista sembra essere la Natura, in particolare quella del Montefeltro, il soggetto delle impeccabili precise vigorose anche spettacolari opere di Americo Salvatori, che ti incantano e ti mettono a tacere ben oltre il trionfo tecnico di un realismo solo banalmente iper-realista, che ti fanno soffermare e fermare davanti a loro quasi ci fosse qualcosa che senti e che non si limita al semplice dato della strepitosa rappresentazione. La fantastica tecnica pittorica c’entra solo fino a un certo punto e se fosse solo virtuosismo, per quanto eccezionale, non avrebbe superato i confini che fanno penetrare nei faticosi e sacri territori dell’arte. Qui, rispetto al realismo o iperrealismo paesaggistico che richiama con massimo scrupolo la bellezza e il mistero del “naturale”, c’è un di più, un quid, qualcosa che costringe chi osserva e gusta quella immediatezza, ad andare oltre, a cogliere un filo che sembra segreto ma che poi tanto segreto non è.

Schermata 2015-07-21 alle 15.47.48Un’eco, una domanda, una questione, un riverbero interrogativo, un koan, un enigma. Il che non ha nulla di “concettuale”, “intellettuale”, metaforico, che rimanda a, che ricorda questo e quello, che simboleggia questo e quell’altro, ma è lo sviluppo stesso dell’ars-arto-artificio-artificiale- umano della tecnica che procede con metodo, con costanza, con impegno e concentrazione senza fine, senza perdere mai la relazione con un senso che sempre di più viene conquistato e fatto proprio, man mano che la tecnica migliora, fino ad essere pienamente posseduta e finalmente messa al servizio della mente-cuore, dell’occhio che vede e coglie e che la mano sapiente poi può tradurre. Siamo oltre la rappresentazione del vecchio mondo e siamo anche oltre la rappresentazione di un mondo che, per quanto meraviglioso, ormai esiste solo come resistenza dell’immaginazione. Qui il realismo non è più un ismo, ma è la realtà stessa che si pone, senza alcuna ideologia o postura che rimandi ad altro da se stessa. Di che realtà-Natura stiamo parlando allora? Non è solo questione di cieli potenti – ad esempio quelli carichi, vitali, incombenti, che sembrano rimandare all’ultimo Barocci – o di terre infuocate o di colline nutrienti come seni robusti e delicati di madri senza troppi discorsi, ma si pone e impone “altro”, che si potrebbe definire “mag”, l’essenza del magico o, per dirla con Duke Ellington, “that swing” (it don’t mean a thing, if it ain’t got that swing), che si pone e impone quanto più lo sviluppo dei lavori appare chiaro, aperto, sincero, privo del trucco onirico surrealista che celando svelava e svelando celava, ma è lampante, nudo, inerme nella sua folgorante robustezza, privo di impalcature difensive, devianti, ingannatrici. L’immediatezza del Naturale è una indeterminazione, un inganno, una illusione accecante qui è rifiutata, a favore di altro, di una sospensione – nel trionfo della luce solare o nel mistero nuvoloso dell’ombra e della penombra – che cattura l’inconscio, senza sollecitarlo in modo diretto e grossolano. La forza è delicatezza e la delicatezza – deliziosa – è forza da guerriero. La Natura pone una questione, un nodo sottilissimo, a cui solo chi osserva e gusta deve dare una risposta, per se stesso, senza dirlo troppo in giro. Qui la Natura non sbandiera, non illude, non seduce, ma indica, indirizza, segnala. In modo sottile, appena percettibile, che inesorabilmente attrae. Come qualcosa per noi di assolutamente ineludibile. Non si può sfuggire. La domanda, la questione, il nodo che (quella) Natura pone, ci riguarda tutti. Direttamente. Esiste ancora la Natura, oggi?

02Quella Natura che ancora, nel suo esserci, consentiva a Pasolini il gioco dialettico che dava il via a un processo di coscienza che gli faceva dire che nella natura nulla è naturale. Il rifiuto dell’immediatezza del “naturale”, il vedere il “naturale” come sospetto, era un lusso che Pasolini poteva permettersi cinquanta o sessant’anni fa, così come se lo poteva permettere Teodor Wiesengrund Adorno, che al naturale inflessibilmente non cedeva un millimetro. Ma ora che l’immediatezza della Natura è diventata il suo “non esserci più davvero”, tragico, drammatico, tanto più ineluttabile quanto parallelo alla totale mancanza di consapevolezza che gli uomini ne hanno, questo “non esserci più” della Natura è l’immediatezza stessa, il punto di partenza che impedisce il gioco dialettico del prendere coscienza, dell’amplificare la spirale riflessiva di Sé, che portava la Natura profonda dell’individuo a cogliere sé nell’Altro-Naturale, in una proiezione di simboli che faceva sì che l’Albero fosse “della conoscenza”, che il Mare fosse “delle emozioni”, il Torrente “della creatività”, il Lago “dell’incanto”, la Montagna “della forza e del sacro”, o la Pietra fosse simbolo, filosofale, di un sapere assoluto e risolutivo.

O che la Natura potesse essere odiata, come dal Leopardi o prima di lui da Platone o dopo Platone da Cartesio o dopo Cartesio e i razionalisti cartesiani maestri della separazione tra soggetto e oggetto e dello sfruttamento della Natura che ha condotto alla tragedia sotto gli occhi di tutti, da Hegel stesso, per il quale il naturale, il semplice, l’immediato erano solo il puro essere indeterminato, un “cominciamento” che “in sé” non voleva dire nulla. Tutte queste posizioni erano un lusso. Un lusso che si poteva permettere la speculazione umana e la sua (più o meno) intelligenza, proprio perché la Madre-Natura continuava a sorreggerle comunque, con le sue dande piene d’amore. L’uomo ne sta perdendo i contatti in modo definitivo, in questo modo smarrendo definitivamente se stesso, non solo l’uomo grigio anonimo malato e metropolitano, ma anche quello che si è trovato a esser nato in collina, in montagna, in un luogo di mare o di lago. Esistono ancora le colline e le montagne? E le onde del mare e le acque dei fiumi e le increspature del lago e i silenzi dell’albero e le danze lente dei rami e delle foglie e la potenza rigogliosa sorridente sofferente florida secca della Terra e delle sue zolle desideranti e generatrici e l’Aria e i venti? I venti conducono ancora il profumo di ciò che è vivo, salutare, salubre, rigenerante, pensieroso, scosso, placido e la brezza, la carezza dell’aria di primavera e lo schiaffo gelido dell’inverno e la riflessione delicata dell’autunno e la bandiera trionfante della primavera, esistono ancora? Nella società tecnocratica, tecnologica, meccanizzata, quantistica senza saperlo, elettrificata, elettromagnetica, vibrante di segnale alieno asservito al potere dell’economico e al potere del potere e al potere dell’Io che deve dimostrare a se stesso la potenza di un’impotenza ineluttabile, nella società illuministico positivista della produzione e del consumo e della perdita del senso, dei sensi, della sensibilità, nella filosofia che ormai definitivamente in occidente per sapere e conoscere deve separare l’oggetto dall’oggetto, tagliare il fiore per studiarlo, uccidere il cane, il topo, il ragno, il coleottero, la scimmia, il gatto, il piccolo orsetto timido implorante e l’implorante pecora, mucca, gallina nella gabbia per un cibo avvelenato di morte e tristezza in partenza, come può esistere generare e rigenerare quel Naturale ormai malato terminale, che è il pianeta stesso, non più fresco, non più immerso nella bellezza, che è amore immediato del nostro occhio, del nostro naso, del nostro orecchio, del nostro cuore… esiste ancora la Natura? L’Uomo-Economico, l’Uomo del Potere mortifero definitivo, l’Uomo dell’ignoranza assoluta, della morte della Bellezza, della Poesia, della Grazia, delle Grazie, della Conoscenza, della Pulsazione, del Desiderio, della Consapevolezza, è ormai solo il mezzo di una Avidità- Voracità-Possesso Alieno che lo hanno ucciso a se stesso.

Questa separazione dal Naturale che è separazione e frattura da se stesso e dal proprio battito naturale se è ineluttabile, è anche priva della Speranza e con una Prognosi che vede solo la possibilità di un Tempo Terminale e Terminato, che nessuna falsa coscienza ecologica può ormai salvare. Soprattutto l’uomo ha tolto alla Natura e a se stesso il “mag”, la magia, quel soffio, quel certo-non so-che, il magico che è forza, connessione, amore e desiderio, luce che vive e rivive e nella mutazione delle forme genera l’ininterrotto discorso del vivente pulsante non separato né da se stesso né da ciò che lo circonda. Ma Americo Salvatori non crede a nulla di tutto questo, anche se non lo ignora. Nelle sue opere e nel suo vivere quotidiano va dritto, impavido, catturando la Luce irriducibile che malgrado tutto ancora lampeggia e si pone, catturandone la residua grandezza e potenza attraverso i suoi squarci, soprattutto quando la Luce si chiude, quando sembra cedere alla legge della penombra o della tenebra, appunto dell’ineluttabile. Catturandola la ripone, la fa sua, la dona, perché quando la Luce si apre forse annuncia una chiusura (I King, esagramma 36, Ming I, L’abbassamento della luce) e quando la Luce si chiude in realtà si apre. La Luce è un attimo che passa e subito svanisce, diventa un’altra e Salvatori, maestro del discorso della Luce e delle forme, la fa uscire dal suo Tempo, fermandola per noi, per il nostro Tempo di coscienze obnubilate e cieche. Pittura fatta di velature, di strati di Aria che colora le cose, che non cede alla tirannia dello spettatore, ma lo tiene a distanza, proprio perché possa capire. Che la ri-velazione della Luce non ha a che fare con il mondo dei falsi balocchi, del supermercato generale, dell’Economico che può comprare e uccidere tutto ciò che vuole. Lo spettatore è tenuto a distanza perché la Luce è sua e trovarla in se stesso, anche attraverso l’opera di Salvatori, è il suo compito qui. Tra le colline e i cieli, nel vigore delle terre e l’esuberanza delle acque, che nonostante tutto non vogliono cedere all’incoscienza della tragedia. Il raro paradiso del Montefeltro, dove le forze dell’assoluto negativo non sono ancora penetrate del tutto, è posto in questi lavori come ultimo baluardo contro la dissoluzione. E la Dissoluzione, l’Oscuro, l’Ombra, sono la Porta da attraversare per cogliere il segreto della Luce e della Forma – Che sono anche il tuo segreto vitale e felicemente desiderante, spettatore.

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